Reggio Calabria, Arghillà, 22 maggio 2018
Nel 26° anniversario della strage di Capaci – nella quale rimasero uccisi, Giovanni Falcone, la moglie e collega Francesco Morvillo, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, con oltre 20 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza – l’Associazione Nazionali Magistrati – sezione di Reggio Calabria ha voluto dedicare una giornata al ricordo di quel tragico evento che, purtroppo, per problemi organizzativi avrà luogo il 22 maggio anziché il 23.
Quest’anno Area Democratica per la Giustizia si è fatta promotrice di una iniziativa, condivisa dalla ANM, caratterizzata da un modulo organizzativo che consentisse il maggiore coinvolgimento possibile della società civile, privilegiando, quale luogo di svolgimento della manifestazione, non solo un quartiere popolare e “difficile” di Reggio Calabria, quello di Arghillà nord, connotato da un certo tasso di degrado e disagio sociale, ma anche la scelta della “piazza”, dell’Agorà, quasi ad evocare simbolicamente il luogo di confronto politico della democrazia per antonomasia.
Si è voluto evitare, cioè, che l’evento assumesse i caratteri tradizionalmente “elitari” delle commemorazioni nelle sedi istituzionali tipiche.
Quanto al significato della manifestazione, vorrei sottolineare che, grazie allo straordinario impegno di giovani e meno giovani colleghi, è stato possibile organizzare una giornata della “Memoria”, spero di forte partecipazione civile, nella consapevolezza che la memoria deve essere costantemente coltivata per riscattare storicamente e moralmente quel processo di rimozione collettiva del fenomeno mafioso (ma anche di altri fenomeni come la Shoah), che ci rende tutti colpevoli.
La memoria, quindi, non come momento meramente commemorativo e rievocativo – certamente importante – ma soprattutto come occasione di confronto e riflessione collettiva che consenta di respingere, con fermezza, i tentativi di tutte le forme di “negazionismo” e per favorire attraverso la conoscenza di certi fenomeni criminali, quella coscienza critica che costituisce uno strumento indispensabile per contrastare quotidianamente, soprattutto culturalmente, il fenomeno mafioso.
Ho sempre creduto nella funzione insostituibile della scuola perché essa costituisce l’unico laboratorio culturale che può concretamente alimentare questa memoria collettiva e in tal modo favorire, soprattutto nelle giovani generazioni, la scelta irreversibile in favore di quei valori e principi in nome dei quali tanti servitori dello Stato hanno sacrificato la loro vita.
Soltanto l’esercizio quotidiano di questa memoria potrà radicare in ciascuno di noi la consapevolezza di essere partecipe di uno sforzo collettivo per la rifondazione dello Stato e della società civile sulla base di una nuova etica collettiva, di una nuova etica pubblica.
Da siciliano che lavora ormai da nove anni in Calabria, terra che ho imparato ad amare ed in cui ho deciso di concludere la mia carriera, sono profondamente convinto che tanto la mafia quanto la ‘ndrangheta hanno prosperato per l’isolamento dei pochi che le combattono e per il disimpegno dei molti che rinunciano ad ogni possibilità di riscatto della propria dignità di cittadini, rassegnandosi al ruolo di sudditi.
Confidiamo in una larga partecipazione di giovani e studenti, che nel 1992 non erano neppure nati, ma anche di cittadini e lavoratori, perchè conoscano una pagina drammatica della nostra storia recente e della nostra democrazia, profondamente ferita dalle stragi del ’92 e del ‘93, e riflettano sulla profonda verità dell’ammonimento Piero Calamandrei che “non c’è liberta senza legalità”, ma soprattutto prendano coscienza che la democrazia si difende ogni giorno con un atteggiamento di costante e vigile intransigenza critica nei confronti del “potere”, di qualunque colore politico, perchè essa è costata lacrime e sangue e non è scontato che non possa essere posta in pericolo anche oggi.
Soprattutto confidiamo che questa iniziativa possa avvicinare la società civile – particolarmente quella parte più povera ed emarginata e pertanto più esposta al pericolo delle “suggestioni” di modelli culturali devianti – alle istituzioni ed alla magistratura, spesso viste come entità nemiche e distanti dai bisogni della gente (“ la mafia dà lavoro ed occupazione” diceva un cartello nel corso di una manifestazione a Palermo alcuni addietro), e ciò non già per la ricerca del consenso, che certamente non costituisce né il nostro obiettivo né la fonte di legittimazione della giurisdizione, ma affinchè la società civile comprenda che il fondamento della nostra legittimazione sta proprio nel ruolo di tutela e garanzia di diritti fondamentali che la Costituzione assegna alla magistratura.
E solo quando la società civile avrà percepito e compreso che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non sono privilegi di casta ma strumenti di tutela dei diritti dei cittadini, solo allora le difenderanno come garanzie del nostro ruolo di tutela dei loro diritti fondamentali.
Ottavio Sferlazza
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