Anche quest’anno desidero ricordare il 30° anniversario della strage di Pizzolungo, consumata il 2/4/1985, in occasione della quale una autobomba destinata al sostituto procuratore della Repubblica di Trapani dr. Carlo Palermo fu fatta esplodere dilaniando i corpi di una giovane mamma, Barbara Rizzo, che accompagnava a scuola i figlioletti, Salvatore e Giuseppe Asta, gemellini di appena 6 anni, perché per una tragica fatalità l’autovettura sulla quale viaggiavano fece da scudo a quella del magistrato in fase di sorpasso e fu investita in pieno dalla micidiale carica esplosiva.
All’epoca svolgevo le funzioni di giudice istruttore penale presso il tribunale di Trapani e non dimenticherò mai le scene terribili di quei corpicini straziati.
Ma soprattutto non dimenticherò mai la macchia di sangue sulla parte alta del muro di una palazzina a duecento metri di distanza lasciata dal corpicino irriconoscibile di uno dei gemellini.
Alle vittime va il mio commosso ricordo, mentre desidero esprimere sinceri sentimenti di solidarietà a Nunzio Asta, marito e padre delle vittime, nonché a Carlo Palermo, all’autista Rosario di Maggio ed agli agenti di scorta Raffaele Mercurio, Antonio Ruggirello e Salvatore La Porta, che ancora portano i segni fisici e psicologici di quella devastante esplosione.
Un abbraccio affettuoso ed un grazie a Margherita Asta, sorella dei gemellini, che ha saputo rielaborare il suo dolore trasformandolo in impegno civile quale coordinatrice per il nord Italia di Libera per i familiari delle vittime di mafia.
Il caso ha voluto che, trasferitomi a Caltanissetta, dovessi sostenere l’accusa nel primo processo ai mandanti ed esecutori materiali di quella strage tra i quali Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia.
Oggi ho voluto ricordare quell’attentato perché è una strage troppo spesso dimenticata in cui per la prima volta, fra le vittime innocenti, rimasero uccisi dei bambini.
Ma soprattutto perché la “memoria” non deve essere solo un momento rievocativo o commemorativo ma un modo per riscattare storicamente e moralmente quel processo di rimozione collettiva del fenomeno mafioso, ma anche di altri fenomeni (come la shoah), che ci rende tutti colpevoli.
La memoria deve servire soprattutto a respingere tutti i tentativi di “negazionismo” e a favorire per contro un autentico processo di conoscenza di certi fenomeni che deve diventare a sua volta coscienza critica per contrastare quotidianamente, soprattutto culturalmente, il fenomeno mafioso.
In questa prospettiva sono fermamente convinto che la scuola sia l’unico laboratorio culturale che può concretamente promuovere la ricostruzione, la conservazione e la promozione di questa memoria collettiva e che può favorire nei giovani la scelta irreversibile in favore di valori e principi in nome dei quali tanti servitori dello Stato, e non solo, hanno sacrificato la loro vita e quindi, la consapevolezza di essere parte di uno sforzo collettivo per la rifondazione dello Stato e della società civile sulla base di una nuova etica collettiva e di una nuova etica pubblica.
Per questo credo che la nostra presenza nelle scuole, per contribuire alla interiorizzazione dei valori e della cultura della legalità, sia una forma di “militanza politica” – nella sua più nobile ed autentica accezione etimologica ( la politeia platonica ed aristotelica) in difesa della dimensione etica della legalità, come aveva intuito già negli anni ’80 il consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici vittima della strage di via Pipitone Federico.
Dopo le stragi del ’92 quella militanza è diventata una dovere morale, soprattutto per i tanti colleghi che hanno vissuto quella stagione ed in particolare per chi, come me, ha avuto l’onore di conoscere quelle vittime ed il privilegio durante l’uditorato di avere avuto tra i propri affidatari Paolo Borsellino presso l’ufficio istruzione di Palermo.
Buona Pasqua a tutti.
Ottavio Sferlazza,
Procura della Repubblica di Reggio Calabria
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